E ci risiamo! L’auspicato controllo della nuova struttura, attraverso la progettazione unitaria portatrice di innovazione e valori che dovrebbero convincere la Comunità, rischia di rimanere un composito schema colorato. All’intuizione di una diversa scala di progettazione, infatti, la proposta non unisce l’elaborazione di un piano di realistici investimenti, intesi questi ultimi non solo per i portatori di interessi (investitori privati e Amministrazione) ma anche per la Comunità che di fatto, si trova ulteriormente privata di una ampia area rurale tutelata dagli strumenti urbanistici.
Il cortocircuito è scontato e annuncia il consueto valzer delle ideologie che travalicano la realtà: da un lato i privati perseguono i propri interessi promettendo sviluppo, servizi, preziosi posti lavoro, opportune strategie di rigenerazione urbana, riqualificazione di “aree dismesse” e realizzazione di nuove infrastrutture viabilistiche consone ai tempi che viviamo; dall’altro la Comunità, stanca della cementificazione, dello smog, delle malattie respiratorie, del deturpamento del paesaggio, del consumo selvaggio di suolo (nonostante la legge regionale del 2017 e il nuovo Piano degli Interventi). Nel mezzo, l’Amministrazione che pensa di accontentare tutti esigendo un corretto e esaustivo iter progettuale tecnico/normativo legittimato dalla conferenza dei servizi e approvato conseguentemente, dal Consiglio Comunale.
Ma nel processo di modificazione della città, la tecnica non è mai solo una questione tecnica! Non è sufficiente appellarsi al pragmatismo del fare bene secondo i regolamenti, poiché l’articolata normativa tecnica che regola la gestione del territorio è interpretabile e perché, come dovremmo ormai avere imparato, il divenire della nostra città impone un serrato confronto con la Comunità che quotidianamente la abita e caratterizza.
Al progetto del nuovo hub Alì, pur avendo ottenuto il parere favorevole della conferenza dei servizi nel 2022, manca il consenso di una parte della Comunità che organizzata in Comitati, Associazioni e simpatizzanti, denuncia le incongruenze della futura realizzazione avanzando obiezioni tipiche di un mancato confronto che avrebbe dovuto essere tutelato e ambito dall’Amministrazione, sin dall’inizio del processo progettuale. Ora che alcuni membri del Consiglio Comunale preferiscono pensare piuttosto che abbandonarsi alle certezze del fare, si rischia di ridurre il progetto di modificazione in una confusa e nervosa diatriba di ragioni soggettive e in parte ideologiche, che potranno vincere o perdere ma non farsi carico delle complessità e delle contraddizioni che la trasformazione della nostra città impone.
Che fare dunque? Dopo tutto questo tempo lasciato contro ogni aspettativa scorrere inutilmente e dovendo necessariamente trovare equa soluzione? La questione è meramente politica e come tale, deve essere gestita e responsabilmente discussa dal Consiglio Comunale. Come ha ricordato il TAR Veneto (sentenza 2023), l’eventuale esito positivo della conferenza dei servizi non è in alcun modo vincolante per il Consiglio Comunale il quale, essendo l’organo titolare della potestà pianificatoria, resta pienamente padrone della propria autonomia e discrezionalità.
Pertanto, il Consiglio Comunale non si limiti a equilibrismi, si prenda il tempo che è poco per approfondire le ragioni del luogo (coscienza di luogo), degli interessi privati e quelli della Comunità, come del resto messo in conto nelle definizioni delle previsioni urbanistiche. Il Consiglio Comunale tenga a mente che le varianti richieste da soggetti privati devono oggettivamente “risarcire” la collettività al fine di riavvicinare abitanti e produttori (in questo caso) nel precisare su uno stesso territorio le finalità della produzione. Infine, verifichi che le varianti urbanistiche non siano in contrasto con i più generali indirizzi strategici della pianificazione vigente, talvolta poco considerati.