Il destino che segna il futuro di molte città è il progressivo abbandono di complessi edilizi che hanno caratterizzato la forma della città attraverso i secoli e che oggi occupano comparti urbani centrali; la loro ridefinizione offre un’occasione sorprendente non solo per consumare meno ma anche per abitare meglio. La città è la forma della sua individualità e gli strumenti che la definiscono sono sempre quelli che attraverso i secoli l’hanno conformata, consolidata, mutata, tramandandola sino a noi nonostante gli abusi e le violenze perpetrate in questi ultimi 60 anni. Insistere sull’architettura della città significa rinnovare i dimenticati materiali dell’architettura e della sua costruzione logica; è saper leggere le cartografie, i tipi edilizi, le morfologie del costruito, i luoghi e i fatti urbani, le relazioni e la complessità.
Il progetto della “Prandina” ci impone di riconoscere l’architettura della città per far fronte alle attuali richieste contenendo le inevitabili direzioni che parlano di qualità dell’architettura in termini abusati di ecologia, di sicurezza, di prestazioni energetiche, di benessere affidato alle soluzioni impiantistiche, di pubblico solo perché partecipato il processo che la illustra. Tale folle invasione accresce la confusione e annulla la realtà dell’architettura e del suo significato; un continuo sovrascrivere dovuto al vuoto lasciato dall’incapacità di aggiornare un’impostazione metodologica.
È tempo di pensare all’architettura riportandola alla vita e alle relazioni; l’uomo non è un uomo di un paese o di una città ma è l’uomo di un luogo preciso e definito (coscienza di luogo); non vi è trasformazione urbana che non significhi anche trasformazione della vita dei suoi abitanti (Aldo Rossi) e dei suoi amministratori.
Non comprenderlo, in primo luogo rischia di convogliare le ingenti risorse a disposizione (fondi privati, regionali, europei, missioni del PNRR…) nel vortice di un bulimico neo colonialismo di dogmatismi delle forme a priori dissociate da ogni relazione seppure proiettate in un omologante e universale modello ecologico renderizzato. Finiremo così, per attribuire all’ambiente fisico della città lo stesso determinismo che il funzionalismo ingenuo ha attribuito alla forma. In secondo luogo, di consentire una sistematica privatizzazione della città per comparti con l’inevitabile negazione del progetto in atto che invece, ha lo scopo di includere, di riportare le persone ad abitare la città perseguendo i criteri di accoglienza, solidarietà, dignità e sussidiarietà!
Inoltre, la città è un luogo simbolico capace di rappresentare ideali civili con i loro doveri morali; senza ideali civili non vi è discorso politico e neppure architettura della città nel senso più nobile e più politico di questo termine.
Diseguaglianze spaziali e ingiustizie sociali (B. Secchi) sono i temi del nuovo racconto urbanistico che segnerà il futuro “rigenerativo” delle città, da sempre immaginate come lo spazio delle integrazioni sociali e culturali per eccellenza. Porre asetticamente fede alla mera politica della “rigenerazione urbana” senza la critica consapevolezza che come tutte le politiche richiede un’ideologia e una retorica, significa non attrezzarsi per far fronte alle contraddizioni dell’omologante ideologia del mercato (profitto) e dell’opprimente retorica della sicurezza.
clicca qui per vedere il progetto https://www.iobstraibizer.eu/luoghi/ex-caserma-prandina/